Sono una persona a cui piace correre a piedi ovunque mi trovi. In città (solo dove posso correre al sicuro, evitando di farmi investire), al mare, in campagna o soprattutto in montagna, metto le scarpe ai piedi, un paio di calzoncini, una maglietta e via ad esplorare il territorio per un chilometraggio che può variare tra i 10 e i 30km.
Prima della pandemia del covid-19, partecipavo volentieri alle varie manifestazioni (soprattutto di trail in montagna), dove avevo la possibilità di partecipare a una vera e propria festa, condividendo il mio entusiasmo per la corsa con altri appassionati come me. Purtroppo molte manifestazioni sono state annullate e temo ci vorrà del tempo prima di tornare ad avere un’ampia offerta di manifestazioni (sperando di non dover indossare soffocanti mascherine mentre si corre).
Con queste manifestazioni potevo allungare le distanze e arrivare anche a 40/50km (a maggio avrei dovuto partecipare a una corsa di 50km sull’isola di Gozo), dato che gli organizzatori mettono a disposizione i vari punti di rifornimento che permettono agli atleti di mangiare e idratarsi, cosa che difficilmente è possibile fare quando si corre in completa autonomia.
Così quest’anno, oltre a correre, ho iniziato anche a fare un po’ di giri in bici alla scoperta delle Dolomiti. Devo dire che pedalare in salita è sicuramente più faticoso che correre a piedi in salita, tanto che la soddisfazione di raggiungere la vetta, a volte è leggermente superiore. In questi miei giri, ho notato che esistono diverse categorie di ciclisti che vanno dai due estremi: da quelli più “appassionati”, a quelli che vorrebbero, ma che fisicamente non riescono.

Il ciclista più “appassionato” è quello con la bici leggerissima, principalmente in carbonio, con ottime componentistiche e con un abbigliamento impeccabile. A coronamento di tutti gli accessori, ci sono gambe depilate e molte ore in sella durante la settimana. Sono gli emulatori dei professionisti, li trovi in strada ad allenarsi per affrontare gare amatoriali in giro per la regione o addirittura in giro per l’Italia.
Con loro è difficile restare al passo perché vanno molto veloci in pianura e in discesa, anche se qualcuno in salita fa più fatica di altri.

Dopodiché ci sono i cicloamatori come me, ai quali piace fare sia attività fisica, sia godersi il panorama. Non abbiamo biciclette super esasperate, ma neanche un ammasso di ferraglia, perché alla fin fine è bello fare anche velocità più interessanti rispetto alla passeggiata.

Infine ci sono i ciclisti della domenica, che si dividono a loro volta in due gruppi: quelli che vorrebbero competere con i più “appassionati” e quelli che si fanno il giretto per giustificare la birretta e il paninozzo. Entrambi hanno poco allenamento sulle gambe, mentre la bicicletta è più eterogenea. Si può andare dalla bici in carbonio, al cosiddetto ciclocancello.
Negli ultimi anni è nata una nuova categoria di ciclisti: gli ebiker. Ovvero ciclisti che pedalano in sella a una bicicletta a pedalata assistita. Odiatissimi dai più “appassionati” e dai più competitivi dei ciclisti della domenica. Il motivo è abbastanza semplice, gli ebiker, soprattutto in salita, riescono a superare i più “appassionati” e asfaltare i ciclisti della domenica. Poi in discesa, magari con una fat bike elettrica, riescono ad avere maggiore sicurezza e a scendere con la serenità di un ciclista navigato.

A parte queste rivalità, credo che l’ebike sia un mezzo che possa aiutare il turismo a risollevarsi. Perché grazie al noleggio delle ebike, molti più turisti potranno percorrere strade “impossibili” e raggiungere in maniera più capillare locali solitamente meno battuti. Un altro vantaggio è quello di ridurre il numero di auto dalle strade.
Immagina che bello che sarebbe se il 70% delle persone che deve raggiungere un passo alpino, lo facesse in sella a una bici o una ebike! Ne gioverebbe l’ambiente e anche la salute.